sabato 21 giugno 2014

Valerio Glorialanza racconta...

Conviviale con il Panathlon Club

del 19 giugno 2014

Hotel Monterosa - Chiavari

Relatori: Ing. Michele PRIOLO e Dott. Franco LAZZARI



“ Genova – Londra o Chicago? “

 50 anni fa una trasvolata epica: professionalità, temerarietà ed un pizzico di fortuna.

Racconto basato sull’articolo DA GENOVA A CHICAGO apparso sul numero di Settembre del 1964 della rivista IL VOLO a firma di Valerio Glorialanza ed Elio Frignani. 
Il racconto viene effettuato da Franco Lazzari con interventi di Michele Priolo.

Valerio Glorialanza racconta: (4)

Oggi è il 18 Giugno 1964 e, proprio mentre il sole sta gettando le sue prime luci sull’aeroporto, i miei compagni di viaggio ed io prendiamo posto sul velivolo.
Decolliamo e lasciamo alla nostra destra Genova sonnecchiante (5) sulla quale ancora veglia la luce della sua storica lanterna.
Siamo eccitati per l’impresa che ci accingiamo a tentare: la trasvolata Genova-Chicago.
E lo siamo ancora di più perché nessuno conosce le nostre vere intenzioni: abbiamo detto a tutti che avremmo fatto “una scappata in Scozia per iniziare a parlare la fraseologia inglese”.
Inoltre il nostro stato di eccitazione è incrementato dall’importanza storica del giorno che abbiamo scelto per la partenza: proprio il 18 Giugno di dieci anni fa un velivolo come il nostro partiva da Ghedi alla volta di Luxor in Egitto per un volo di 3.000 chilometri alla conquista del record mondiale assoluto di distanza per Il tempo di ricordare quell’epica impresa e già siamo su Nizza e Lione.
Al traverso c’è Parigi, ma un grosso temporale con foschia ci impedisce di scorgerla.
Proseguiamo quindi verso il Canale della Manica ed arriviamo all’aeroporto di Le Touquet dopo 5 ore e qui ci fermiamo per fare rifornimento. 
Attraversiamo la Manica sotto una pioggia torrenziale che ci accompagna fino alle coste Inglesi (6) 
La visibilità è scarsissima per tutto il viaggio fino alle isole Shetland (7) (8), dove facciamo tappa atterrando all’aeroporto di Sumburg nonostante il vento a 30 nodi. (9)
L’accoglienza scozzese è fredda e scostante: l’ora è quella del tè e l’arrivo con 30 minuti di ritardo sullo stimato significa cambiare le loro abitudini e contrariarli in maniera manifesta (10). Ci fermiamo per la notte e ci svegliamo pronti a partire per la seconda tappa: da Sumburgh a Reykjavich.

Purtroppo sull’isola mancavano sia l’affabilità degli abitanti sia il carburante quindi, appena decollati, ci dirigiamo (11) verso l’isola di Kirkwall per il necessario rifornimento.
L’assistenza meteo è carente: gli addetti sembrano più preoccupati di farci pagare ben otto sterline e mezzo di tasse e di farci riempire un complicatissimo foglio di dogana che di darci assistenza al volo.
Le operazioni sono lunghissime e decolliamo con 40 minuti di ritardo. Inoltre un forte vento contrario con raffiche di 55 nodi rallenta di un terzo la nostra velocità.
Eccoci qua! Stiamo volando da tre ore e mezzo tra le nuvole fitte (14) e ora, all’improvviso, la visibilità migliora e scorgiamo le isole danesi Faeroer. 
(15) Le coste sono altissime a picco sul mare, lambite da enormi marosi.
(16) L’aeroporto di Vagar si trova a 800 metri di altezza ed è dotato di un’unica pista in terra battuta.
Atterriamo... e subito siamo accolti da bambini biondissimi in festa (17) che ci riempiono di gioia.
Le operazioni di rifornimento e le procedure di controllo sono semplici e veloci: alle 18,30 già stiamo decollando alla volta di Reykjavich.
Ci attende la traversata di mare più lunga intrapresa fino a quel momento: 1380 km.
(18) Il benvenuto in Islanda ci viene dato da un altissimo ghiacciaio scintillante di sole che lì per lì scambiamo per nuvole.
Il paesaggio è stupendo, maestoso.
Costeggiamo per due ore e mezza il Sud dell’isola poi, a quota di 2600 metri, effettuiamo la discesa sull’aeroporto della capitale islandese.
Atterriamo a mezzanotte, affascinati dai rossi bagliori del sole: (19) uno spettacolo unico e indescrivibile. 
(20) Sembra la luce dei nostri pomeriggi piovosi di autunno! 
(21) All’aeroporto ci attende un funzionario efficientissimo: effettua le operazioni di controllo, di dogana e di polizia e poi ci prenota anche taxi e albergo via radio. Tutto da solo!
Ci spiega anche che l’assistenza radio è resa possibile dalla fortissima potenza di trasmissioni del satellite ECHO, che consente di ovviare al problema delle alte vette dei ghiacciai che impediscono le normali trasmissioni terrestri.
Il decollo dall’Islanda è commovente, vista l’accoglienza riservataci dal Direttore del controllo 
Le previsioni meteo danno tempo sereno fino alla Groenlandia. 
Saliamo fino a 3400 metri di quota e rimaniamo in contatto con il controllo del traffico islandese per un paio d’ore, poi cadiamo nel tanto temuto silenzio.
(24) Lo spettacolo marino è veramente nuovo e stupefacente, col mosaico del Pack che si estende sotto di noi.
(25) Trascorriamo due ore in un’emozionante ricerca dell’iceberg più grande su quella frastagliata distesa bianca (26), quindi avvistiamo all’orizzonte le imponenti montagne della Groenlandia. Aggiorniamo la nostra posizione con il radiofaro dell’isoletta di Kulusuk (27), dove è stata ricavata una pista di 900 metri in terra battuta.
Sorvoliamo per ben tre volte la pista non riuscendo a comunicare con la torre quindi, obbligati a fare rifornimento, atterriamo comunque, senza assistenza alcuna.
Le nebbie del mistero si diradano appena sbarcati: è Domenica e gli eschimesi, compresi due funzionari danesi, solennizzano la festività con abbondante whiskey (28). 
Ci viene riservata un’accoglienza fraterna, fatta di baci con sfregamento di nasi, tra odori di alcool e di cosmetici a base di grasso di foca.
In un modo o nell’altro riusciamo a completare il rifornimento e ripartiamo tra la delusione dei locali, che speravano di trascorrere la serata con noi, e lo sventolio di panni e di mani di una trentina di piccoli (29) Iniziamo a circumnavigare la Groenlandia effettuando una marcatura aritmetica delle isole e di 78 fiordi, fino a doppiare il tempestoso Capo Prince Christian (30) all’estremo Sud per poi risalire 500 km a Nord in cerca dell’aeroporto di Narsarsuak.
(31) Il sole scompare varie volte per riapparire fortunatamente nella fase finale della nostra tappa. 
L’ingresso nel fiordo presenta delle difficoltà notevoli e inoltre in fase di atterraggio proprio allineato con la pista (32) che lambisce il mare del fiordo troviamo un enorme iceberg quasi a difesa della pista stessa, come se volesse vietare l’accesso a noi intrusi che con il rumore della civiltà svegliamo dal letargo la quiete del luogo
L’accoglienza è emozionante: tutto il personale della Base è ad attenderci, comprese una ventina di graziosissime ragazze eschimesi (33) sorridenti e piene di grazia.
Viene organizzato un party con discrete bevute di whiskey.
(36) Prima di rimetterci in viaggio, trascorriamo qualche ora del mattino a studiare la rotta valutando le condizioni più sfavorevoli di vento.
I nativi, però, ci suggeriscono di non indugiare perché oggi è uno dei giorni meteorologicamente più adatti per la traversata, con buon tempo previsto per le successive otto ore di volo.
Decolliamo emozionatissimi e con il cuore stretto dalla commozione per la nuova tappa: LA GRANDE 
Raggiungiamo la quota di volo di 3400 metri e dopo un’ora e mezza perdiamo i contatti radio con la Groenlandia, trovandoci nuovamente soli in quel silenzio davvero snervante.
Cerchiamo allora di contattare la nave oceanica Bravo, dislocata a circa 1200 km al traverso della nostra rotta, ma riceviamo segnali di risposta al nostro ADF solo dopo quasi quattro ore di tentativi. 
(39) Una volta entrati in contatto con la nave oceanica BRAVO, siamo finalmente in grado di calcolare la nostra posizione e rileviamo che abbiamo quasi 40 minuti di ritardo sul programma. 
Finalmente, dopo altre due ore, per un attimo le nuvole si diradano e avvistiamo la costa Canadese (40), ma entriamo subito in una tormenta di neve: il nevischio si attacca al parabrezza, la visibilità diventa quasi nulla.
Per evitare formazioni di ghiaccio sul velivolo ed il pericolo costituito dalle alte montagne della costa, risaliamo a 4000 metri e ci riportiamo sul mare, chiedendo l’assistenza radar.
Gli americani accolgono la nostra richiesta e ci inviano in aiuto un enorme quadrimotore militare (42) che ci supporta durante il rientro verso terra, nella fase di forata delle nuvole da 4000 metri fino al suolo e durante l’atterraggio.
(43) Sbuchiamo all’incerta luce della sera sul lago prospiciente Goose Bay e, dopo quasi 11 ore di volo, atterriamo perfettamente alle 23,15 stanchi ma soddisfatti, (44) consapevoli di aver fatto un volo veramente sportivo!
(45) Lo Stato Maggiore Canadese si complimenta per l’impresa fatta con questo aereo vecchio di dieci anni (46) e particolarmente per la strumentazione limitata a bussola e orologio”.
(47) Trascorsa la notte a Goose Bay, ripartiamo per la quinta tappa fino a London, sempre in territorio canadese, con il vento a 50 km. che ci fa ballare parecchio.
(48) Giungiamo alla foce del fiume San Lorenzo, immaginiamo di intravedere le Cascate del Niagara (49) e, dopo uno scalo per rifornimento (50) a Riviere Du Loup, sorvolando con buona visibilità un’infinità di laghi e foreste (51) risaliamo fino a Quebec, (52) Toronto, (53) Ottawa.
Atterriamo a London (54), ultimo aeroporto canadese del nostro viaggio, con pessime condizioni di vento, ma ormai siamo ben temprati a simili contrarietà”.
(55) L’ultima tappa è quasi completamente in territorio americano.
(56) Dopo una sosta intermedia a Detroit, (57) arriviamo finalmente a Chicago (58).
L’America ci accoglie con interviste televisive e articoli sui giornali e con una cerimonia austera nella quale veniamo insigniti (59) del “Cross Ocean Wings” dall’associazione Civil Air Patrol “ 
(60) Alla fine della nostra avventura, ci rendiamo conto che “solo lo spirito sportivo ci ha spinti a questa impresa, e il desiderio di costituire sprone ed esempio per i nostri amici, dimostrando loro che il volo oggi va visto così, con spirito sportivo e con una seria applicazione nella preparazione alla navigazione”.



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